Katundi Ynë dal ’70 rappresenta gli umori della nostra società, perché è un prodotto culturale, fatto di più voci, di più generazioni, di più geografie. Oggi interpreta il sentire di un tempo sospeso che ci chiede di fermare il nostro sguardo, non per smettere di guardare, ma per guardare meglio.
“Se oggi tutto ti sembra brutto vuol dire che devi guardare meglio”.
La Redazione e il collettivo Placco sono protesi ad aprirsi sempre a nuovi contenuti e a nuovi strumenti comunicativi, affinché la produzione culturale e il benessere che la cultura produce sull’individuo che partecipa siano strettamente connessi.
Sta diventando molto chiaro che il rapporto tra cultura, benessere psicologico e salute è un tema non solo di grande rilevanza, ma anche urgente a seguito della crisi e delle trasformazioni che stiamo attraversando.
Quello che manca ancora è una percezione molto chiara delle opportunità soprattutto da parte dei policy makers, sulla creazione di nuove figure professionali che siano in grado di supportare e gestire questo tipo di processi. Si può essere “diversamente locali”, predisponendosi ad una dimensione urbana rinnovata nei propositi, che deve poter coniugare la portata del fenomeno globale con una dimensione locale più attenta a gestire le peculiarità dei luoghi.
Trasformazione e attenzione al territorio devono marciare congiuntamente in un rapporto di reciproco scambio, in un progetto in cui modernità e conservazione guardano nella stessa direzione per intervenire efficacemente nella geografia dell’abbandono.
La strategia da seguire, propedeutica a qualsiasi tipo di intervento, è un recupero contemporaneo in cui passato e presente trovano una sintesi formale, linguistica e tecnologica. Diventano quindi fondamentali iniziative come la progettazione partecipata e la consultazione on-line, per consentire ai cittadini di percepire una reale democrazia in relazione alle decisioni che li coinvolgono. Questi meccanismi descrivono una Smart Community che si riconosce in un sistema di valori condivisi, favorendo l’autorganizzazione, la partecipazione, la responsabilità civica e in particolar modo la coesione sociale: tutto questo si traduce in comportamenti creativi filtrati dai social media. Chiaramente, in queste circostanze, cresce l’interesse per un territorio da riscrivere e reinventare in quanto esperienza culturale legata alle connessioni, ontologicamente distante quando aumenta il digital divide.
Quanti ragazzi potrebbero trovare nei nostri borghi e nelle nostre colline non solo l’opportunità di un lavoro certamente faticoso, ma creativo e libero, e al tempo stesso vivere la consapevolezza di contribuire, con la propria presenza, la propria opera, ad un processo di riequilibrio territoriale dell’intera penisola?
Per queste figure l’attività per produrre un reddito personale e familiare acquisterebbe un valore etico assai più ampio e più esaltante. Alcuni hanno capito che il segreto sta nell’equilibrio tra macro e micro, tra locale e globale – glocale – nell’offerta di un prodotto che abbia piedi ben radicati sul territorio e testa nel mondo contemporaneo, oltre ad una chiara sostenibilità sociale e ambientale. Solo investendo sulle peculiarità e le valenze cariche di originalità dei borghi e delle aree rurali il nostro paese potrà essere all’altezza della sua tradizione e reggere la competizione nel mondo. Mai come oggi abbiamo bisogno di ripensare il modello di sviluppo italiano facendo leva sulle comunità locali.
È in corso una transizione tra il modello di welfare state che noi tutti conosciamo e un nuovo modello di politica sociale: il welfare community. Quest’ultimo è caratterizzato da un maggiore protagonismo delle comunità locali e della società civile che diventano esse stesse promotrici e attuatrici di politiche di welfare secondo i valori comunitari della solidarietà, della coesione sociale e del bene comune.
Perché il Welfare culturale si innesti nella quotidianità del Paese bisogna superare la frammentarietà degli interventi, l’approccio fondato solo sul mosaico delle buone pratiche e puntare ad azioni di sistema.
Ecco che l’azione culturale dell’Associazione Placco incardina la necessità di osare e al contempo di sfidare il presente attraverso la creatività e il pensiero positivo. Oggi il collettivo si arricchisce di nuovi membri con diverse geografie e storie personali e questo conferisce all’Associazione Placco una fisionomia aperta alle contaminazioni culturali, seppur fedele alla sua storia e alle sue origini. Le attività del collettivo Placco si sono arricchite di contaminazioni culturali e di nuove modalità di fruizione. Il nostro Museo ha aperto le porte al 2021 con in tasca il boom di visitatori mai raggiunto tra giugno e ottobre 2020. Sono stati 3 mila e 557 coloro che hanno firmato sul registro del Museo etnico arbresh.
Che la pandemia stia facendo riscoprire la cosiddetta Italia minore è più che una scommessa. Infatti, l’80% dei visitatori proviene dall’Italia di cui il 37% dalle regioni del sud. Il restante 20% dei visitatori proviene dall’Albania, dai Paesi Bassi e dalla Francia. Registriamo, altresì, un rinnovato interesse per la cultura italo-albanese. Questa constatazione non può che stimolarci ad intraprendere un percorso sempre più condiviso, affinché le scintille di innovazione che emergono nei piccoli centri italo-albanesi non restino isolati, ma diventino parte di azioni sistemiche volte a far emergere un’identità sempre più aperta al mondo e all’innovazione.